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  • 22 Settembre 2022

    La qualità delle cure, sfida cruciale per il futuro della sanità

    Medici pagati a gettone e infermieri importati dall’estero senza verifiche sulle competenze, chi ci curerà nel prossimo futuro e soprattutto come? L’inchiesta di Simona Ravizza e Giovanni Viafora ( Corriere di ieri) sui medici che coprono turni di Pronto Soccorso “a gettone”, come avviene ormai in moltissime strutture italiane, leva il velo su un tema più ampio: quello della qualità delle cure in sanità. Argomento difficile da affrontare e ancor più complesso da misurare, la qualità dell’assistenza in medicina parla anche del nostro futuro. L’importanza di avere un sistema fatto da professionisti preparati e affidabili si è ben vista durante la pandemia, sebbene molti e in primis la politica se ne siano già scordati.

    Non è ragionevole né razionale avere una struttura sanitaria come un Pronto Soccorso (ma il discorso può valere per altre realtà) gestita da un medico che svolge il suo servizio per qualche ora, magari senza conoscere neanche bene le regole, l’organizzazione e i sistemi informativi di dove sta operando e il giorno dopo è da un’altra parte. Si parla tanto di continuità assistenziale, ma dove può andare a finire con dei medici o degli infermieri che si alternano a rotazione? Se alcune attività possono anche essere, almeno in parte e con certe regole, gestite da liberi professionisti che offrono la loro opera “a ore”, come gli anestesisti in camera operatoria per alcuni tipi di interventi chirurgici, concepire la sanità in questo modo è una distorsione che finisce per ricadere amaramente sulla pelle dei pazienti.

    Una riflessione andrebbe anche fatta sul mercato del lavoro sanitario in senso più ampio, una realtà con la quale bisognerà sempre più fare i conti: in Europa ormai gli infermieri scelgono il Paese nel quale il loro lavoro  è meglio retribuito, mentre la Calabria assume personale da Cuba. Alcune garanzie di “qualità” del professionista e di competenza andrebbero assicurate, mentre nell’emergenza pandemica per necessità si è andati, anche in senso legislativo, in direzione opposta. Ma non è solo questo a preoccupare: vanno rivisti i cosiddetti “minimi assistenziali”, ovvero quelle regole che ogni struttura sanitaria deve rispettare per legge, oggi anacronistici e sottostimati a fronte della complessità dei pazienti. Se un tempo erano appunto dei requisiti di minima, ma nessuno li riteneva soddisfacenti e li adottava realmente, oggi di fronte alle carenze di personale sono spesso applicati con ripercussioni fortemente negative sulla qualità.

    È anche vero che i rimborsi alle strutture sanitarie per le attività svolte, i Drg, sono ancorati a valori di decenni fa, totalmente inadeguati a riconoscere la complessità di quanto oggi richiesto per gestire un malato, così si risparmia dove si può. La sanità però non è una fabbrica e non può essere pensata con approcci tayloriani, se non vogliamo buttare via il patrimonio prezioso del nostro servizio sanitario nazionale, uno dei migliori al mondo. Ma per quanto ancora?

    Corriere Nazionale - Sergio Harari