Nel parapiglia generale che anima la discussione sulle
liste di attesa bisognerebbe partire dai dati, prima di dare risposte semplici a problemi complessi. In Italia il numero di
prestazioni ambulatoriali prescritte nel 2023 rispetto al 2019, anno pre-pandemico utilizzato come benchmark, è aumentato del
44% (passando da 693.632.109 a 999.894.364 - dati Agenas). Il numero delle prestazioni erogate ed effettivamente svolte nello stesso arco temporale, al netto delle analisi di laboratorio, è però diminuito dell’
8%. In pratica la
domanda di salute è cresciuta a dismisura ma siamo in grado di soddisfare assai meno richieste.
Eppure il numero di
medici assunti nel Servizio Sanitario nazionale è aumentato dell’
1% (erano 127.504 nel 2019, sono diventati 128.750 nel 2023) e i
ricoveri ospedalieri sono calati del
3%. Allora cosa sta accadendo? Un altro numero: la richiesta di
prime visite specialistiche è aumentata del
31%, sempre nello stesso arco temporale, mentre quelle effettuate sono diminuite del
10%. Anche qui: chiediamo molte più prestazioni di 6 anni fa ma ne facciamo meno di allora.
Stupisce allora che oltre il
50% delle prime valutazioni specialistiche siano espletate al di fuori del servizio pubblico? Sì, certo colpisce molto che gran parte dei cittadini debba rivolgersi al
privato in tutte le sue forme per avere assistenza oppure rinunciarci del tutto, ma questi numeri rispondono, almeno in parte, al perché tutto ciò si verifica.
Senza entrare in dettagli analitici che potrebbero risultare noiosi per i lettori, un altro dato balza all’occhio: com’è possibile che la richiesta di prestazioni vari tantissimo da area ad area del Paese e perfino nella stessa regione in zone vicine?
Senza dare la croce addosso a nessuno, pare evidente quello che i numeri ci dicono: esiste un problema di
appropriatezza prescrittiva, non è possibile che tutta l’Italia sia invecchiata di colpo e che tutti si siano ammalati! Ed esiste anche un tema di
efficacia nella risposta ai bisogni di salute, che evidentemente è insoddisfacente o è percepita come tale.
L’altro aspetto è che, se criticità normative esistono e vanno affrontate (la legge di riforma del
Servizio Sanitario ha oltre 50 anni), non bisogna dimenticare che il sistema va
governato e che lasciato a se stesso
auto implode.
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