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  • 28 Luglio 2017

    Ma l’antibiotico deve essere preso fino alla fine?

    Lo studio inglese riapre il dibattito – Sul “British Medical Journal”

     “Se usate la penicillina, utilizzatene il necessario” esclamò Alexander Fleming durante la sua lettura ritirando il premio Nobel vinto nel 1945 proprio grazie alla scoperta del primo antibiotico, dopo aver illustrato i rischi di una terapia sottodosata o di troppo breve durata. Ma quanto tempo deve durare una terapia antibiotica? La domanda sembra scontata ma a 70 anni dalla scoperta della penicillina in realtà non lo è affatto. Malgrado le migliaia di studi condotti e l’avanzare della medicina basata sull’evidenza, restano ancora molte questioni aperte che non hanno una risposta definitiva. Ne discutono in un articolo scientificamente molto provocatorio alcuni prestigiosi ricercatori inglesi nell’ultimo numero del British Medical Journal. Il punto sollevato è certamente importantissimo: chi di noi non ha mai assunto un antibiotico in vita sua? Quanti milioni, se non centinaia di milioni di vite sono state salvate dagli antibiotici? Molti sono i fattori che influenzano la scelta sulla durata: la sede dell’infezione, la gravità e l’estensione, ma anche l’età (una cosa è una otite in un bambino, altra è in un adulto), eventuali altre malattie concomitanti, altri farmaci assunti contemporaneamente e, naturalmente, se il paziente è ospedalizzato o curato a domicilio. Oggi molte certezze si sgretolano sulla scorta di nuove evidenze che suggeriscono come le scelte sulla durata possano basarsi sui sintomi del paziente, come la defervescenza della febbre, piuttosto che su standard fissi e validi per tutti in modo rigido. Anche qui la cosiddetta medicina personalizzata sembra sempre più guadagnare terreno. Colpisce, però, come dopo così tanto tempo dall’introduzione degli antibiotici nella pratica clinica, ancora molto ci sia da dire e da studiare. Nel loro articolo gli studiosi inglesi sembrano anche voler sfatare il mito con il quale sono cresciute generazioni di medici in tutto il mondo, quello del pericolo di resistenze batteriche, che esiste ma che sarebbe in qualche modo sopravvalutato, a loro parere, e controbilanciato dai rischi di un utilizzo eccessivamente prolungato e inappropriato degli antibiotici. Alcune malattie, come gli stessi autori ricordano, fanno eccezione a queste riflessioni, ad esempio la tubercolosi che necessita di molti mesi di cure antibiotiche con più farmaci.
    Mentre invece proprio l’infezione, che Fleming citò nella sua lettura magistrale (da Streptococcus pyogenes ) non ha mai sviluppato resistenze alla penicillina, ironia della sorte.

    Probabilmente non saranno le aziende farmaceutiche a promuovere ricerche che valutino durate più brevi delle terapie antibiotiche, per questo è fondamentale potere disporre di fondi nazionali e europei per la ricerca indipendente.
    C’è ancora molto da fare e da scoprire in medicina.

    [Corriere della Sera - Cronache, pag 21 di Venerdì 28 Luglio 2017]